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CARMAGNOLA - La presenza della ’ndrangheta a Carmagnola non è più un sospetto: è un fatto accertato dalla Cassazione. Le motivazioni della sentenza sul maxi-processo «Carminius», depositate in questi giorni, chiariscono che la famiglia Arone ha radicato in città una cellula dell’organizzazione criminale calabrese, attiva «quanto meno dal 1991». Carmagnola è diventata così un punto di espansione della ’ndrangheta delocalizzata, collegata al potente clan Bonavota di Sant’Onofrio (Vibo Valentia).

Secondo la Suprema Corte, il legame tra la locale di Carmagnola e la ’ndrangheta è concreto e strutturato. Tuttavia, i giudici hanno escluso l’esistenza di un’alleanza con Cosa Nostra. In particolare, è caduta l’accusa nei confronti di un 67enne, originario del Palermitano, indicato come referente mafioso in città.

La Cassazione ha confermato l’assoluzione già pronunciata in primo grado ad Asti: non ci sono prove sufficienti di un rapporto stabile e organico tra l'uomo e la consorteria calabrese. Resta però l’allarme sulla pervasività delle mafie al Nord, con Carmagnola come ennesima conferma di una colonizzazione criminale silenziosa ma profonda. La sentenza rilancia l’urgenza di interventi istituzionali più efficaci per prevenire l’infiltrazione e il radicamento delle organizzazioni mafiose anche in territori tradizionalmente considerati «sicuri».