TORINO SUD - Il Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani osserva con crescente allarme l’evoluzione della criminalità minorile in Italia, alla luce dei dati più recenti diffusi dalla Procura per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta e da organizzazioni di monitoraggio come l’associazione Antigone. L’abbassamento dell’età media dei soggetti coinvolti, con quindicenni sempre più presenti tra i detenuti, e l’adozione di modalità di aggressione più violente, spesso mediante armi bianche, rappresentano segnali di un mutamento strutturale e qualitativo del fenomeno.
Nel corso del 2024, solo in Piemonte e Valle d’Aosta, si sono registrati nove tentati omicidi e un omicidio consumato da under 18, a fronte di circa cento arresti annui di ragazzi e ragazze minorenni, pari a una media di due alla settimana. Al Ferrante Aporti di Torino, nel 2025, si contano 46 giovani detenuti, molti provenienti da altre regioni, con un numero crescente di quindicenni rispetto al passato. Le comunità educative continuano a essere insufficienti e, in diversi casi, incapaci di gestire le condotte di soggetti ad alta problematicità, generando un passaggio quasi inevitabile verso la custodia cautelare in carcere.
«A distanza di un anno dalla rivolta dell’agosto 2024 — innescata dal caldo estremo, dalla noia e dalla mancanza di attività strutturate, e sfociata in incendi, minacce agli agenti e tentativi di evasione — il Tribunale per i minorenni ha inflitto condanne per complessivi trentasette anni di reclusione a nove giovani che, all’epoca, avevano tra i 15 e i 17 anni. Secondo l’associazione Antigone, solo il 35% dei detenuti italiani, inclusi i minorenni, si trova in carcere con una sentenza definitiva, dato che evidenzia un rallentamento strutturale delle procedure e una perdita di efficacia nella funzione rieducativa della pena - commenta Romano Pasavento, presidente del Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani - L’analisi scientifica delle variabili implicate conferma che la persistenza di disagio familiare, la mancanza di modelli educativi stabili e l’assenza di presidi territoriali costanti creano un terreno fertile per l’escalation del comportamento antisociale. In assenza di un sistema di prevenzione capace di operare in continuità e di un’azione giudiziaria minorile rapida e mirata, il rischio è di vedere consolidarsi un circuito vizioso: ingresso precoce nella devianza, detenzione in età adolescenziale, recidiva in età adulta. Le evidenze internazionali dimostrano che il solo approccio detentivo, privo di un contesto educativo strutturato e permanente, non solo non riduce i tassi di recidiva, ma può aggravarli».
È quindi indispensabile un cambio di paradigma: la prevenzione deve essere considerata una funzione strutturale dello Stato, non un intervento episodico: «Il CNDDU propone l’attuazione immediata di un Piano Nazionale di Educazione alla legalità e Prevenzione Permanente, integrato tra scuola, servizi sociali, comunità educative e realtà associative, capace di garantire attività formative e di socializzazione anche nei periodi di sospensione scolastica, programmi personalizzati per i minori a rischio e monitoraggio costante dei fattori di vulnerabilità - conclude Pasavento - Solo una strategia multidisciplinare, stabile e coordinata potrà interrompere la spirale di violenza che oggi travolge una fascia d’età sempre più giovane e restituire a questi adolescenti una prospettiva di vita alternativa al crimine».