RIVALTA - Mercoledì 2 luglio la comunità rivaltese si è stretta al dolore della famiglia di Assunta Carbone, Susy per chi la conosceva bene. Centinaia le persone che si sono incontrate in piazza Gerbidi per portare un pensiero di vicinanza e affetto e per dire no alla violenza sulle donne. La 54enne è stata accoltellata dal compagno Alessandro Raneri, 55 anni, nell’appartamento che condividevano in città. Susy Carbone lascia il figlio Simone, la mamma Dora, il papà Antonio e il fratello Giuseppe.
«Siamo qui per ricordare la nostra cara concittadina Susy – figlia, sorella, mamma, amica – uccisa da chi le giurava amore e per interrogarci sul perché questi eventi si ripetono con un ritmo incessante e colpiscono anche la nostra apparentemente calma e tranquilla Rivalta – ha detto il sindaco di Rivalta di Torino Sergio Muro - Tutti abbiamo letto il ritratto che giornali e televisioni hanno fatto di Susy: una ragazza solare, lavoratrice, premurosa nei confronti del figlio Simone, amorevole verso i suoi genitori Antonio e Dora. È stata una sorella preziosa anche per Giuseppe e Pietro. Pietro Carbone, anche lui ci ha lasciato troppo presto, dopo una vita che già gli aveva tolto molto. Una famiglia, quella di Susy, che ancora una volta, pur piegata dal dolore e dalla sofferenza, ci consegna una grande testimonianza di dignità e coraggio. Ci vuole coraggio, sì, ce ne vuole proprio tanto di coraggio a portare in piazza il corpo di una figlia, di una sorella, di una mamma. Ci vogliono coraggio e dignità a offrire a una comunità, che da giorni si sta interrogando attonita, quello che è innanzitutto un fatto privato. Ci vogliono coraggio e generosità nel volersi lasciare abbracciare e confortare dai tanti che sono qui stasera, che, ancora increduli e sotto shock, hanno bisogno tanto quanto voi di essere abbracciati e confortati. Per questo vi dico a nome della comunità rivaltese “grazie”. Grazie per averci dato l’opportunità di promuovere questo momento collettivo di riflessione. Grazie per permetterci di condividere con voi questo dolore. Grazie per averci insegnato cosa significa sentirsi parte di una comunità. Vi giunga anche da qui l’abbraccio forte dei vostri concittadini e di quanti hanno voluto raggiungere questa piazza, perché scossi e feriti da quanto successo».
«Non possiamo però limitarci questa sera a piangere e rendere omaggio a Susy. Occorre che da qui – dalla piazza in cui Susy con il figlio Simone ogni martedì apriva il suo banco di pasta fresca – scatti una molla, una scintilla, affinchè diventiamo noi stessi agenti di quel cambiamento culturale che è necessario, ma ancora così lontano dall’essere realizzato – ha aggiunto il primo cittadino - Dobbiamo smettere di pensare che il maschilismo, il patriarcato e le violenze di genere siano problemi che appartengono sempre a qualcun altro. Stiamo vivendo questa sera quanto questo non è vero. Lo dicono i numeri. Ad oggi sono 54 le donne uccise per femminicidio, donne uccise in quanto donne e solo perché donne. Quasi una ogni tre giorni. Dobbiamo educare i giovani e i meno giovani all’affettività e alla gestione dei conflitti senza rincorrere stereotipi odiosi e radicati anche nella nostra cultura perbenista. Dobbiamo ricominciare un percorso di alfabetizzazione democratica. Una gelosia morbosa non è romanticismo. Un ragazzo che piange non è una femminuccia. Una ragazza in minigonna non è una poco di buono. “Ogni donna merita un uomo che le rovini il rossetto, non il mascara”, diceva Marilyn Monroe tanti anni fa».
«Alda Merini, una delle più importanti poetesse del secolo scorso – per anni rinchiusa dalla nostra società in un manicomio – così scriveva: "Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise. Solo perché donne". In queste quattordici parole c’è tutto il senso di impotenza delle donne e tutta la presunta onnipotenza degli uomini - ha concluso Sergio Muro - Ma il mio ruolo e il mio compito è anche quello di accompagnare questa comunità, farla crescere e lasciarla, se possibile, migliore. E oggi non posso che registrare un arresto, violento, in questa crescita. Ha ragione Elena Cecchetin sorella di Giulia, studentessa di 22 anni uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, quando dice che: “Il femminicidio non è un delitto passionale. Il femminicidio è un delitto di potere. Il femminicidio è un omicidio di Stato perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge”. Ed oggi mi sento più che mai parte di quello Stato messo giustamente sul banco degli imputati. Dove eravamo quando Susy cercava di aiutare il suo compagno. Dove erano i servizi socio sanitari che dovrebbero curare le persone. Dove eravamo noi, che non ci siamo accorti che questa debolezza poteva far scattare una molla impossibile da fermare. Dobbiamo fare di più, ma dobbiamo farlo tutti insieme. Dobbiamo farlo perché questa società diventi più umana e perché il sacrificio e il ricordo di Susy non restino un ricordo che evapora in fretta. Per questo continueremo a promuovere iniziative di informazione, sensibilizzazione e conoscenza del fenomeno: lo faremo nelle scuole con i progetti di educazione all’affettività, nei centri giovani e lo faremo con incontri aperti a tutti. Lo faremo con un richiamo nella comunicazione a Susy, un hashtag #inricordodisusy accompagnerà le nostre iniziative. Chissà che quanto successo non ci aiuti a vincere la pigrizia e il pensiero che tanto a noi episodi del genere non possono capitare. Viviamo tempi insopportabili, forse ci salverà solo lo stare più vicini. Lo scrive una mia carissima amica in una delle tante chat in cui si commenta la vicenda di Susy. Rendiamo il tempo che ci è dato vivere su questa terra più sopportabile, più umano, più giusto. Stiamo e restiamoci vicini, costruiamo relazioni, parliamoci di più. Facciamo in modo che da questa immane tragedia rinasca un nuovo senso di comunità». (foto di Omar Viara fotografo ritratti tratte dalla pagina Facebook del comune di Rivalta)